Il tema della tutela dell’ambiente è stato, forse più di ogni altro, piegato alle esigenze dell’economia, legata mani e piedi ai ceppi della crescita dei consumi (distruzione di risorse).
Lo stesso concetto di sostenibilità, dal Rapporto Bruntland che nel 1987 che lo ha reso famoso fino ad oggi, è stato piegato alle esigenze dello “sviluppo” economico, andando a tratteggiare un mondo ideale in cui alla crescita dell’economia ed al miglioramento del benessere collettivo (inteso come maggiore stock di beni e servizi da consumare) si affianca la tutela e preservazione dell’ecosistema. Un concetto che viene allargato, stiracchiato, esteso, piegato, reso pervasivo e al contempo praticamente inutilizzabile, contribuendo significativamente a quella che è stata definita la “sustainability fatigue”.
Parallelamente allo “sviluppo sostenibile” fioriscono e si diffondono rapidamente altri neologismi, modelli e sistemi concettuali che mirano ad integrare i temi ambientali con quelli dell’economia: uno di questi è l’economia circolare.
Chi non ne ha sentito parlare? E chi non l’ha trovata un’idea fighissima? Un mondo fatto di produzione di beni e servizi in cui gli scarti di un prodotto diventano la materia prima di un’altro, in cui tutti diventano ricchi, godono di un sacco di beni e servizi senza produrre rifiuti, inquinamento e danni all’ambiente: neanche l’acido lisergico potrebbe fare di meglio!
Di norma, quando si parla di “economia circolare” si fa riferimento al rapporto Towards to Circular Economy elaborato una ventina di anni fa da MCKinsey & Company per conto della Ellen MCArthur Foundation.
Adottata entusiasticamente da molti, soprattutto presso i Think Tank delle Associazioni industriali, i Governi, gli Enti che si occupano di sviluppo territoriale ed assimilati, l’economia circolare è diventata in breve tempo uno dei “topos” più diffusi nell’intervento pubblico in favore dell’ambiente e dell’economia.
Visto il suo immediato e grande successo è stata recentemente oggetto di approfondimento scientifico, in particolare da parte dell’Agenzia Federale per l’Ambiente tedesca, che ha affidato ad gruppo internazionale di esperti un’analisi tecnica dei modelli e dei concettti sottostanti l’economia circolare, a seguito della quale è stato pubblicato un testo dal titolo piuttosto auto-esplicativo: “The impossibilities of the circular economy - Separating aspirations from reality”, disponibile gratuitamente a questo link.
Il testo è in definitiva molto critico con l’economia circolare, considerata come “un nuovo motore della crescita economica (…) sviluppata e promossa da politici, businessman, consulenti aziendali, associazioni e fondazioni aziendaliste”, ricca di lacune sostanziali da un punto di vista logico e tecnico ma, soprattutto epistemologico, laddove non considera, nel corso dei cicli di produzione / riciclo, l’inevitabile degradarsi dei beni, il consumo e la dissipazione di energia e l’inevitabilità della produzione di scarti.
Il modello economico proposto, pur accettando il fatto (invero per nulla scontato in economia) che l’attività economica si basa prima di tutto sulla trasformazione di risorse fisiche naturali, tuttavia ignora i principi di base che stanno alla base di tali trasformazioni, in particolare il secondo principio della termodinamica, la cui rilevanza e solidità è tale, nell’esperienza dell’uomo e della natura, da far dire a Arthur Stanley Eddington: “if your theory is found to be against the Second Law of Thermodynamics I can give you no hope; there is nothing for it to collapse in deepest humiliation”. Al riguardo è molto netto il Prof. Mario Giampietro, quando conclude: in both cases, flat Earth and circular economy, we are dealing with a phenomenon referable to as “socially constructed ignorance in science and environmental policy discourse”.
Quindi l’economia circolare è un ennesimo fuorviante e tendenzialmente pericoloso “comfortable talk”? Si,, quando viene elevato a sistema praticabile ed alternativo di economia di consumo. Tuttavia è anche un concetto che contiene elementi di valore, specie quando mira a promuovere un approccio in generale più attento alla gestione delle risorse naturali, degli scarti, al riuso, al riciclo etc. da parte di tutti.
In conclusione: occorre fare attenzione a non buttare il bambino con l’acqua sporca, almeno fintanto che il bambino non si scopra essere un consulente travestito che cerca di convincerti a consumare di più perchè tanto poi si ricicla…
A margine: a fronte dei molti “comfortable talks” che popolano il bla-bla pseudo ambientalista (spesso di supporto al Business-as-Usual), invitiamo a visitare il sito web “Uncomfortable knowledge", che proprio il Prof. Giampietro ha realizzato qualche anno fa nel quadro di un progetto comunitario Horizon 2020.