Si fa presto a dire nucleare

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6 dicembre 2024 739 parole

In una pillola precedente abbiamo già trattato il tema della fusione nucleare: ambito in cui in Italia saremmo all’avanguardia, secondo quanto dichiarato dalla Presidente del Consiglio Meloni nell’ambito della COP 29. Questa sarebbe una grande notizia, se esistesse un sistema di fusione nucleare in funzione a portata di mano. Il più vicino però, per quanto ne sappiamo, si trova a circa 150 milioni di km di distanza da Roma ed è il sole.

Parliamo qui invece della cara vecchia “fissione nucleare”, ultimamente tornata alla ribalta non solo ai fini di produzione di elettricità ma (ahimè) anche per la composizione (funeraria) dei conflitti tra i sempre più protervi “Stati Nazione”. Speravamo che il modello “si vis pacem para bellum” si fosse estinto nel secolo breve e invece ritorna, più baldanzoso che mai. E ritorna anche alla mente anche la famosa profezia di Aron Hector Schmitz (Italo Svevo):

Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e si arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie
(La coscienza di Zeno, 1923)

Ma tornando all’uso civile della fissione atomica (per distinguerlo da quello incivile), ci preme sottolineare ciò che si scorda spesso di menzionare: si tratta di una produzione di energia da una fonte non rinnovabile ma, soprattutto, relativamente scarsa.

La fissione nucleare richiede infatti l’uso (l’estrazione) di un “combustibile”, l’uranio 235 e 238, la cui produzione è inevitabilmente soggetta, come tutte le risorse non rinnovabili (nella scala temporale umana), a una progressiva diminuzione, soprattutto in relazione alla crescente difficoltà (e costo) di approvvigionamento.

Anche qui rileva il famoso EROEI (Energy Return on Energy Investment), concepito dal Prof. Charles Hall (che quest’anno ha voluto partecipare a una nostra conferenza). In sintesi: più l’EROEI di una tecnologia è alto, più questa è intrinsecamente “vantaggiosa”. il valore di EROEI dell’elettricità da fissione nucleare è oggetto da anni di ampie ed accanite discussioni, tant’è che viene convenzionalmente indicato in un range di valori compresi tra 10 e 70…d’altronde anche il costo di una centrale nucleare può variare da 3 a 13 miliardi di euro, tra preventivo e consuntivo! (vedi qui).

Al di là del vantaggio o meno in termini di EROEI, il fatto è che di uranio adatto all’uso in questione ed a costi accettabili sulla terra ce n’è poco ed è oltretutto (ovviamente) in calo. Basti pensare che gli USA nel 2023 hanno prodotto 23 tonnellate di ossido di uranio, contro le 19.000 tonnellate estratte nel 1981 (!)

Non è un caso che il fabbisogno di uranio per le centrali sia stato soddisfatto in misura crescente, dal 1990 ad oggi, proprio dallo smantellamento dell’arsenale nucleare mondiale, specialmente quello dell’ex URSS. Oggi, che si assiste ad una vigorosa tendenza al riarmo collettivo, anche questa fonte andrà rapidamente ad esaurirsi, a fronte del fatto che le tecnologie cosiddette “autofertilizzanti” o di “rigenerazione” del combustibile restano (da decenni) allo stadio sperimentale, a dispetto dei miliardi di investimenti spesi.

E allora sì che, fatti salvi possibili ma poco probabili colpi di scena, l’EROEI del nucleare calerà rapidamente!

Inoltre, nel 2023, la produzione mondiale di elettricità da fissione nucleare ha rappresentato meno del 10% del totale (carbone e gas fanno più del 60%): in caso di aumento sensibile della quota nucleare, il problema dell’approvvigionamento si farebbe ancora più critico.

Insomma, al netto degli aspetti legati alla sicurezza ed alla gestione delle scorie e tralasciando un referendum (i cui risultati, come è noto, in Italia valgono come il due coppe a briscola, con buona pace della “Costituzione più bella del mondo”), non si tratta in ogni caso di quella magnifica e prodigiosa prospettiva tratteggiata da alcuni imbonitori nostrani di taglio ottocentesco, ma semplicemente di un’opzione da soppesare con molta cura e, soprattutto, senza agitarla come un’arma elettorale.

Per un’nalisi assai più accurata ed informata della questione rimandiamo alla lettura di questo post di Gail Tverberg, riportato sul blog del Prof. Ugo Bardi, che abbiamo tra l’altro il piacere di avere tra i soci di Resconda.