La posizione di Resconda in vista della Conferenza Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile

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8 novembre 2025 534 parole

Il 2-3-4 dicembre 2025 a Roma si terrà la Conferenza Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile 2025. Resconda fa parte del Gruppo di Lavoro Cultura del Forum Sviluppo Sostenibile – Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica – MASE, incaricato di redigere un Position paper sui tre “vettori di sviluppo” individuati dal MASE: “Cultura”, “Partecipazione”, “Coerenza”.

L’evento in questione sconta nella sua impostazione – a nostro avviso – un problema annoso connesso alla definizione di “Sostenibilità” e di “Sviluppo Sostenibile”, piegati negli anni in modo progressivo più alle esigenze della crescita dell’economia che a quelle dell’ambiente, oltre ad una certa tendenza (generica di questo tipo di eventi) di indulgere eccessivamente nella supercazzola.

Ciò nonostante – essendo chiamati a farlo – abbiamo voluto fornire al riguardo il nostro punto di vista. Di seguito il contributo trasmesso da Resconda in relazione al vettore “Cultura”.

L’associazione Resconda ritiene che la cittadinanza tutta debba impegnarsi in prima persona, individualmente, agendo consapevolmente per la sostenibilità ambientale.

L’azione pubblica internazionale a ciò delegata ha mostrato ormai in modo incontrovertibile la propria inadeguatezza: si apre a breve la 32° COP annuale per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Dalla prima COP ad oggi solo 2 anni hanno visto una riduzione delle emissioni di CO2: nel 2009 e nel 2020, causate rispettivamente dalla crisi dei mutui subprime e dall’epidemia di Covid 19.

Ma l’impegno individuale è reso impossibile da un gap culturale causato dalla mancanza di elementi quantitativi nella rappresentazione degli elementi chiave del comportamento sostenibile, affrontati sempre e solo in termini qualitativi (bene/male, bici/auto, meglio/peggio, carne/frutta, etc.). Attualmente quasi nessuno ha strumenti cognitivi idonei a valutare in termini quantitativi l’impatto ambientale di una propria scelta di acquisto o di comportamento, se non, nella migliore delle ipotesi, in termini relativi: “meglio le mele locali rispetto al mango via aerea”.

Solo un bambino di 4 anni non troverebbe deliranti affermazioni come “ci ho messo un’ora e mezza per venire a piedi da Milano a Roma” oppure “ho pagato 1.200 euro un chilo di mele”, poiché esiste un sapere condiviso e diffuso sugli aspetti quantitativi legati a tempo, spazio, peso, moneta, etc. Tale sapere ci permette una valutazione immediata e direzionalmente corretta delle situazioni che affrontiamo quotidianamente e ad essa vengono ancorate le nostre scelte conseguenti. Quasi nessuno (compresi quanti si occupano di sostenibilità) troverebbe delirante l’affermazione “Questa t-shirt ha un’impronta ecologica pari a 100 g di CO2 equivalente”. Eppure l’ordine di grandezza dell’errore di questa è lo stesso delle affermazioni precedenti: 100 x (l’impronta di una T-shirt è intorno ai 10 kg).

Se quindi l’educazione e l’informazione ambientale continuerà ad avere un carattere esclusivamente qualitativo e non viene introdotta e supportata una cultura condivisa sugli aspetti quantitativi dell’impatto ambientale delle scelte di consumo e di comportamento individuale, nessuno sarà mai in grado di perseguire obiettivi di sostenibilità che non siano indistinti, vaghi e non verificabili.

Lord Kelvin diceva: “quel che non si può misurare non si può migliorare”. Se veramente si vuole promuovere una cultura della sostenibilità a livello collettivo che sia sostanziale e non velleitaria è necessaria una cultura che permetta alle singole persone di misurare quotidianamente il livello di compatibilità ambientale delle proprie scelte di comportamento, di acquisto, di vita.