Da 174 anni, cioè da quando ci sono dati disponibili, il 2023 ha riportato la
temperatura media più alta, con una anomalia di +1,48 C°, praticamente la
famosa soglia che - secondo quanto solennemente e con una sola voce dichiarato
nel famoso "accordo di Parigi" - sottoscrito al termine della COP del 2015 -
si sarebbe dovuto fare il possibile per non superare.
Quel che dovrebbe preoccupare, peraltro, non è il dato in se, ma il fatto che esso conclama una serie di altri dati relativi al cambiamento climatico che sempre di più e sovente si ripetono. Infatti - vale la pena tornare a sottolineare - non è il dato singolo ad essere rilevante (così come non lo è la percezione soggettiva o locale), quanto la rilevanza statistica dello stesso nel quadro di un insieme di dati, di una tendenza, di un modello.
Non è che se oggi nevica si può dire (come tendono a fare molti editorialisti) che il cambiamento climatico non c'è: "vedi! oggi nevica...!" Allo stesso modo, se oggi ci sono 10 gradi più della media, non si può dire che domani si scioglie la Groenlandia!
I fenomeni climatici sono complessi e sfuggono alla percezione soggettiva. Per questo bisognerebbe dare credito a chi quei fenomeni li studia: gli scienziati dell'IPCC, i cui rapporti sono sempre meno possibilisti, sempre più allarmanti e sempre più ignorati o al più sopportati: come un noioso adempimento periodico, un F24, un IMU: si paga il tributo di attenzione, ci si mostra preoccupati (specialmente in caso di photo opportunity), si lascia l'elemosina di una dichiarazione di intenti sul futuro delle energie rinnovabili o su quanto sono belle e da tutelare le colline del Chianti...e si torna alla quotidianità fatta di lavoro, produzione, crescita, bollette da pagare, figli da portare a scuola, etc.
Intanto si accavallano i segnali di allarme: a novembre del 2023 l'anomalia termica globale ha superato i 2 gradi per due giorni consecutivi, mentre il 2024 appena arrivato ha dichiarato, baldanzoso: "ah si?! Guarda un po' cosa so fare io...!" (vedi il grafico sotto)