Nucleare dal torio

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Credits: Image by Pete Linforth from Pixabay

10 settembre 2025 788 parole

Qualche settimana fa la Cina ha annunciato di aver completato la messa in opera del suo primo reattore nucleare a sali fusi alimentato al torio. Cosa rende questa notizia interessante? Cosa ha il torio da offrire in più rispetto al ben noto uranio-235?

Innanzitutto bisogna ricordare che il torio come punto di partenza per la fissione nucleare non è una scoperta recente: già negli anni ’50 e ’60 negli Stati Uniti si sperimentarono reattori a sali fusi che utilizzavano questo elemento. L’idea era promettente, ma la Guerra Fredda spostò gli interessi verso l’uranio – che già negli anni ‘40 si era scoperto non essere poi così raro – più adatto alla produzione di plutonio e quindi di armamenti. Da allora la filiera industriale dell’uranio ha avuto decenni per consolidarsi, mentre quella del torio è rimasta confinata a esperimenti e prototipi.

Il torio naturale è costituito quasi interamente dall’isotopo torio-232, che non è fissile: non può sostenere da solo una reazione a catena. È però fertile, cioè può trasformarsi in un nucleo fissile. Sottoposto al bombardamento neutronico, il torio-232 si trasmuta in uranio-233, un isotopo che può effettivamente subire fissione e rilasciare energia.

Il funzionamento di un reattore al torio, quindi, prevede sempre un “innesco” con un materiale fissile (uranio arricchito o plutonio) e la successiva produzione di uranio-233 che diventa il vero combustibile.

I punti forti del torio:

  1. Abbondanza – Il torio è da 3 a 4 volte più diffuso dell’uranio nella crosta terrestre. Non richiede arricchimento isotopico (che è costoso ed energivoro), e oggi è spesso un sottoprodotto dell’estrazione di terre rare.

  2. Scorie meno problematiche – La fissione dell’uranio-233 produce meno attinidi pesanti (come plutonio o americio), riducendo la quota di scorie ad alta radiotossicità e con vita superiore ai 10.000 anni. La parte più consistente delle scorie decade in tempi molto più brevi, dell’ordine di 300-500 anni.

  3. Proliferazione ridotta – Sebbene l’uranio-233 sia tecnicamente utilizzabile in armi nucleari, la presenza inevitabile di contaminanti come l’uranio-232 rende l’impiego militare molto più difficile e meno appetibile rispetto all’uranio-235 o al plutonio-239.

  4. Sicurezza intrinseca – Molti progetti basati sul torio prevedono l’uso di reattori a sali fusi, in cui il combustibile è disciolto in un fluido. Questo permette sistemi di raffreddamento passivi: in caso di emergenza il sale fuso può drenare in contenitori di sicurezza, fermando la reazione senza intervento umano.

Nonostante i vantaggi, il torio non ha mai conosciuto un’adozione su larga scala:

  • Necessità di innesco – Non essendo fissile, il torio non può avviare da solo un reattore. Serve comunque uranio arricchito o plutonio, con tutte le infrastrutture collegate.

  • Gestione complessa del ciclo – L’uranio-233 prodotto è molto radioattivo e contiene contaminanti che complicano il ritrattamento e la fabbricazione di nuovo combustibile.

  • Costi di ricerca e sviluppo – La filiera industriale è tutta da costruire: miniere, impianti di lavorazione, tecnologie dedicate. L’uranio, invece, ha già un’industria globale matura.

  • Estrazione non prioritaria – Storicamente il torio era più costoso da reperire. Oggi le cose cambiano perché l’estrazione di terre rare lo produce come scarto, ma servono impianti capaci di valorizzarlo.

Per dare un’idea delle potenzialità: un chilogrammo di torio, trasformato e utilizzato in un reattore a sali fusi, può teoricamente generare circa 1 GWh di energia elettrica (partendo dal dato grezzo di densità energetica del Th-232, 22 GWh/kg e considerando tutte le inefficienze, dalla miniera alla presa elettrica). È l’equivalente del consumo annuo di circa 300 famiglie italiane. Inoltre, le riserve mondiali stimate di torio superano le 6 milioni di tonnellate, potenzialmente sufficienti a coprire il fabbisogno energetico mondiale per un paio di secoli – agli attuali ritmi di consumo, ma si sa che l’appetito vien mangiando…

Negli ultimi anni, il tema è tornato d’attualità perché:

  • la transizione energetica richiede fonti stabili e a basse emissioni di CO₂;

  • le tecnologie a sali fusi offrono prospettive di maggiore sicurezza rispetto ai reattori convenzionali;

  • la disponibilità di torio come sottoprodotto delle terre rare abbassa le barriere economiche.

Tuttavia, come spesso ci accade quando troviamo sui social notizie dai toni sensazionalistici, scopriamo ancora una volta che la realtà dei fatti è un po’ meno rosea. Il torio non è una bacchetta magica, ma rappresenta una strada interessante per affiancare o in parte sostituire l’uranio nei reattori del futuro. La sfida non è tanto scientifica – la fisica è ben compresa – quanto industriale ed economica: costruire una filiera competitiva. Se gli esperimenti come quello cinese avranno successo, potremmo assistere a una rinascita dell’energia nucleare in chiave diversa da quella a cui siamo abituati. Rinascita guidata e dettata dalla Cina, che attualmente ha il controllo quasi totale sull’estrazione di terre rare, e dall’India, che detiene la fetta più grande delle riserve di torio estraibili attualmente stimate, insieme, guarda un po’, alla Russia.