L’impatto ambientale della sanità

GWh
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10 ottobre 2025 521 parole

Quando si parla di impatto ambientale delle persone si pensa solitamente alla mobilità (l’auto inquina e quindi occorre sostituirla con una nuova) e alla climatizzazione degli edifici (Il riscaldamento costa quindi occorre coibentare la casa e cambiare i serramenti). Sono i casi in cui la tutela dell’ambiente va più comodamente d’accordo con le esigenze dell’economia e l’obiettivo statale di aumentare la spesa pubblica e privata per alimentare le proprie casse bisognose.
Tuttavia anche l’acquisizione di altri tipi di beni da parte delle persone pesa sull’ambiente – in pari misura se non talvolta anche di più. Tra questi il cibo, le bevande o i detergenti (su questi settori si è concentrata fino ad ora l’App Suasì di Resconda per il consumo ambientalmente consapevole). Ma anche servizi hanno un impatto ambientale. L’Information Technology ad esempio, ma non solo: uno che è notoriamente trascurato sotto questo profilo è la sanità.
Secondo un rapporto IRES, nel 2017 le strutture sanitarie della Regione Piemonte hanno consumato circa 1.471 GWh, suddivisi più o meno a metà tra energia termica (riscaldamento) ed elettrica (climatizzazione, illuminazione e servizi). Considerando l’intera popolazione del Piemonte (circa 4,3 milioni di abitanti) fa 340 kWh a persona. Non poco. Oltre ai costi energetici legati alle utenze, occorre inoltre aggiungere l’e-costo delle forniture ospedaliere (l’energia incorporata in tutti i beni e servizi acquisiti dalle strutture ed erogate ai pazienti), la mobilità indotta ed il costo ambientale dei rifiuti, che comprendono sia i rifiuti “speciali” sia quelli ordinari.
Sul tema dei rifiuti non abbiamo trovato dati: ci sono diversi studi sui rifiuti ospedalieri speciali ma non siamo riusciti a scoprire quanti rifiuti produce in generale la sanità piemontese (o nazionale). Quel che è certo è che negli ultimi anni sono significativamente aumentati, a causa dell’impiego sempre più ampio di prodotti monouso. Attrezzatura operatoria, camici, lenzuola ed in generale ogni dispositivo, oggetto, strumento o supporto idoneo, è stato negli anni convertito al monouso, essenzialmente per ragioni di costo e rapidità di utilizzo e smaltimento.
Allo stesso tempo si è affermato un uso crescente di materie plastiche nei prodotti monouso (tessili e non), senza peraltro che sia stato strutturato un servizio di riciclaggio ad hoc (che sappiamo essere di utilità relativa, ma comunque meglio di niente).
In sintesi: gli ospedali producono montagne di rifiuti e consumano enormi quantità di energia senza che – di norma – gli effetti sull’ambiente di questa prassi siano oggetto di una qualche forma di monitoraggio e contenimento. Inoltre la logica puramente economica di contenimento dei costi operativi delle strutture – specialmente in una prospettiva di breve periodo – raramente ha ricadute positive sul piano ambientale, anzi: la scelta del monouso spesso discende proprio da tali esigenze.
Qualcuno comincia in realtà a farci attenzione: nel Congresso Secec (European Society for Surgery of the Shoulder and Elbow) del settembre scorso una ricercatrice ha fornito alcuni interessanti dati sulla produzione di rifiuti (e relative emissioni di CO2) connessi all’inserimento di diverse protesi articolari, che qui riportiamo:

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Ma se anche c’è chi mostra interesse al tema e a dispetto delle molte chiacchiere al riguardo, nei fatti la tutela dell’ambiente resta sostanzialmente esclusa dalle priorità del SSN.