La rivincita del geotermico?

TWh
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6 luglio 2025 584 parole

Se ne conoscono le potenzialità e i processi di sfruttamento hanno più di cento anni, ma ad oggi l’energia da fonte geotermica copre meno del 1% della domanda energetica globale. Piccolo vanto italico: la prima centrale elettrica da geotermia fu costruita e messa in opera nel nostro Bel Paese, nel lontano 1911.

Stando a un recente rapporto della IEA, l’energia prodotta da fonte geotermica nel mondo nel 2023 è stata di 5 exajoule, ovvero 13,9 TWh. Sembra un bel numerone ma, confrontato con le altre fonti rinnovabili, la colloca al penultimo posto nella classifica delle fonti più usate, migliore solo dell’energia da moto ondoso. Peraltro solo il 21% di questa energia viene usata per produrre elettricità, la maggior parte viene usata direttamente per il riscaldamento.

Altra nota dolente del geotermico è che la sua produzione è concentrata in quei pochi paesi che hanno la fortuna di avere un accesso agevole (poco in profondità) alla fonte di calore, primo fra tutti l’Islanda.
Il motivo di questa limitata capacità sta nel fatto che le tecnologie attuali di scavo la rendono economicamente conveniente solo in presenza di riserve idrotermali a bassa profondità.

Il punto di svolta potrebbe essere stato introdotto dall’industria del Oil&Gas, con il miglioramento delle tecnologie di fratturazione idraulica (molto più noto con il nome di fracking), isolamento dei pozzi e scavi direzionati.
Grazie a queste innovazioni, si stanno abbassando i costi per scendere più in profondità e svincolarsi dalla presenza di una riserva idrotermale. I sistemi geotermici avanzati (Enhanced Geothermal Systems, EGS) prevedono di sfruttare direttamente le tecniche di fracking per rendere più permeabili le rocce calde nel sottosuolo, permettendo la formazione di riserve idrotermali laddove prima non si sarebbe potuta infiltrare dell’acqua.

Venendo ai numeri: quale sarebbe il potenziale di produzione teoricamente raggiungibile con queste nuove tecnologie? Uno studio di TU Delft sul potenziale delle rinnovabili ha fatto una meta-analisi anche sull’energia geotermica, confrontando 18 diverse ricerche sulla stima di energia producibile tramite questa risorsa. Come si vede, la varianza tra i valori è molto alta (quattro ordini di grandezza). La stima più conservativa dà un valore che è circa tre volte l’attuale capacità geotermica – che era di 100 TWh/anno globali, nel 2020 – mentre quelle più rosee si attestano su un fattore x4000 (escludendo uno studio con un valore molto superiore, considerato “fuori dal coro”).
La cosa interessante da segnalare è che di tutti gli studi considerati, quelli che hanno incluso tecniche di estrazione tramite sistemi EGS da risorse profonde almeno 3km danno tutti stime almeno cento volte superiori all’attuale capacità geotermica.

Che dire allora, viva il fracking e aspettiamo l’imminente risorgimento del geotermico? Come sempre ci sono criticità da considerare. È praticamente noto a chiunque che l’alterazione della consistenza delle rocce della crosta terrestre, tramite le rotture proprie del fracking, altera la stabilità sismica dell’area in cui si apporta tale modifica. Ci sono esempi più o meno recenti di progetti di impianti geotermici sospesi per l’insorgere di sismicità indotta dall’alterazione della crosta terrestre. Anche qui la ricerca ha fatto importanti passi avanti, nell’ottica di ridurre l’entità delle scosse sismiche indotte, ma molto va ancora fatto per convincere il pubblico che la tecnologia è sicura ed eventuali impatti siano contenuti e prevedibili.
Altri fattori di incertezza, primi tra i quali i rischi nella fase di scavo e costruzione del pozzo – che affligge peraltro anche il settore Oil&Gas – ci fanno pensare che non vedremo, almeno nel breve tempo, il geotermico risalire rapidamente la classifica della produttività tra le fonti rinnovabili.