In un recente video della “Dataroom” del Corsera, Milena Gabanelli illustra con efficacia l’impatto ambientale del settore moda, con particolare riferimento al “fast fashion” di Shein, la piattaforma online destinata alla Gen-Z che riesce a sfornare fino a 6.000 nuovi articoli al giorno.
La Gabanelli fornisce alcuni dati:
la moda genera il 10% delle emissioni climalteranti globali,
servono 2.700 litri d’acqua (irrigazione dei campi di cotone e lavorazione dei tessuti) per una T-shirt,
ogni anno vengono prodotti 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili nel mondo
Vediamo di fornire anche noi qualche numero.
Secondo uno studio dell’ECAP ogni italiano butta nell’immondizia annualmente in media 7,2 Kg di vestiti, contro una media europea di circa 4,6 kg.
L’italia è il Paese in cui si consumano (buttano) più vestiti: una famiglia di 4 persone ne getta ogni anno in media ca. 29 kg.
Considerando il contenuto energetico delle sole fibre tessili significa che una famiglia italiana media ogni anno “getta via” circa 840 kWh di energia in vestiti.
Se poi consideriamo anche l’energia necessaria per il confezionamento e tutta la logistica a valle della produzione, l’impatto annuo relativo all’acquisto di capi di abbigliamento è da solo probabilmente superiore al consumo complessivo di elettricità della famiglia in questione.
La Gabanelli conclude: “è la somma dei singoli comportamenti che può affossare il pianeta oppure salvarlo”.
Nicolas Georgescu Roegen, il matematico fondatore della bio-economia, definì la moda come “una malattia del genere umano”: una malattia da cui sembra impossibile guarire, ma che si può forse arginare, come si fa con il diabete.
Alcuni link interessanti al riguardo: