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Il packaging delle bevande: cosa è meglio scegliere?

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16 luglio 2023 493 parole

Di recente alcuni produttori di bevande hanno cominciato a distribuire acqua in packaging in lattina, invece della classica bottiglietta di plastica (PET). Considerata l’energia impiegata nella catena di produzione dell’alluminio, ha senso da un punto di vista ambientale rimpiazzare il classico PET con questo tipo di packaging?

Tralasciando di trattare il tema della passione del nostro Paese per l’acqua minerale imbottigliata (l’Italia è il secondo paese consumatore al mondo di acque minerali in bottiglia - dopo il Messico - ed allo stesso tempo uno dei Paesi con la più elevata qualità organolettica delle acque distribuite dalla rete idrica), cominciamo con il confrontare l’energia necessaria per produrre una lattina da 33 cl con quella che serve a produrre bottiglie dello stesso volume ma in PET o in vetro.
Tipicamente vengono spesi ben 14kWh per produrre 1kg di fogli di alluminio (è uno dei processi industriali più energevori tra tutte le attività produttive umane), ma la ridotta quantità di materiale (una moderna lattina pesa ca. 12.5g) fa sì che questa e-costi meno di un analogo contenitore di vetro, che è di circa 1 kWh.
La stessa fonte riporta il contenuto energetico di un analogo contenitore in PET: per questo ci vuole meno di un decimo di energia rispetto al vetro, ovvero 0.21MJ equivalenti a 60Wh. Un po’ meno di un’ora del nostro metabolismo basale (circa 100 W).

Come già anticipato, stiamo solo guardando un piccolo tassello del grande mondo del Life Cycle Assessment (LCA).
Per parlare di energia e di sostenibilità di un prodotto occorre capire appunto il suo ciclo di vita, dalla miniera alla discarica (se mai ci arriva), con potenziali molteplici interazioni di riciclaggio e produzioni secondarie. Ed è qui che le cose si complicano molto: a titolo di esempio, la capacità di ciascun paese/comunità di riciclare con una dato tasso di successo ciascun materiale può far sì che la stessa lattina di alluminio prodotta e ‘consumata’ in Brasile, che nel 2020 arrivava al 98% di riciclo dell’alluminio, abbia un e-costo e un impatto molto inferiore dallo stesso oggetto distribuito in India.

I modestissimi mezzi di resconda possono permetterci solo di abbozzare una meta analisi, alla ricerca di qualche studio che possa fornirci esempi concreti di questa variabilità.
Tornando quindi al punto di partenza del nostro percorso, possiamo dire che i produttori di acqua minerale e infusi vari non hanno sicuramente rivoluzionato il mondo del packaging in termini di sostenibilità, almeno per quanto riguarda il contesto europeo: nonostante il buon tasso medio di riciclo dell’alluminio (dove l’Italia dà il suo discreto contributo), l’utilizzo di questo materiale risulta di poco più impattante rispetto al PET. Viene da chiedersi se non sia una delle tante mosse di marketing-greenwashing per mostrare attenzione alla riduzione della tanto vituperata plastica…

Quello che è sicuramente necessario fare, volendo perseguire degli obiettivi di reale sostenibilità ambientale, è eliminare progressivamente il packaging monouso ed in generale promuovere il riuso di ogni oggetto la cui produzione ha comportato un dispendio di energia.