La mobilità, tra i comportamenti individuali, ha un consumo energetico (e relativo impatto ambientale) pari a circa un terzo dei consumi complessivi (un terzo è dato grosso modo dalla climatizzazione domestica e la restante parte dall’acquisto di beni di consumo).
L’uso dell’automobile rappresenta il comportamento più impattante: per le emissioni di CO2, di polveri ed altre sostanze che sono causa di inquinamento dell’aria, del suolo e dell’acqua, oltre all’inquinamento acustico.
Le emissioni del parco veicolare dipendono sostanzialmente da 4 fattori:
- il numero di veicoli in circolazione;
- il peso (massa) dei veicoli;
- il tipo ed efficienza del motore;
- lo stile di guida.
L’azione pubblica ha ignorato il peso dei veicoli e lo stile di guida, mentre ha mirato a ridurre il terzo e ad aumentare il primo, attraverso le politiche di incentivi alla sostituzione dei veicoli (che favoriscono la produzione e il consumo di beni, con conseguenze positive sui numeri dell’economia, occupazione e servizio del debito pubblico). La conseguenza è stata pertanto che l’accresciuto numero e massa di veicoli in circolazione ha vanificato la riduzione delle emissioni conseguente alla migliore efficienza ambientale dei motori: negli ultimi 50 anni le emissioni di gas climalteranti (CO2) sono aumentate del 136% (vedi al riguardo questo post).
Inoltre, a fronte della riduzione delle emissioni da combustione dei motori, sono invece aumentate le polveri sottili generate dall’usura dei freni e dei pneumatici (si lo so “degli” ma non mi piace), che dipendono proprio dal peso del veicolo (e dallo stile di guida).
Questo è un problema che - a fronte della sbandierata attenzione alle emissioni del motore (e, aggiungiamo, all’ostracismo verso il motore diesel, molto più efficiente e longevo del motore a benzina ma, si sa, il prodotto longevo danneggia l’economia…), risulta del tutto ignorato, come sottolineato da questo rapporto dell’OCSE.
Per dire: la normativa Euro 5 prevede per i veicoli diesel (attualmente già soggetti a blocchi ambientali in numerose città) una quantità massima di emissioni di polveri sottili di 5 mg/km (la stessa della normativa Euro 6), ma uno studio recente indica in 16,65 mg/km (più del doppio!) la quantità di emissioni di PM10 causate dall’uso dei soli freni di un autoveicolo medio, guidato in condizioni “reali”. Un valore a cui occorre sommare la polvere dei pneumatici, quale che sia il suo motore e la sua classe di emissioni. E veicoli sempre più pesanti (vedi post sopra segnalato) non possono che peggiorare la situazione.
Dunque? Beh, ovviamente la riduzione del numero di km fatti in auto può aiutare (bella scoperta) ma soprattutto lo stile di guida, riducendo il più possibile il numero di frenate (quindi di accelerazioni), ovvero variando il meno possibile la velocità e le traiettorie.
Ma qual è l’impatto in termini quantitativi di un simile cambiamento di stile di guida? Ipotizziamo due casi limite su un percorso cittadino di 3 km (dato medio di uso dell’auto in città): due automobilisti con la stessa auto (di medie dimensioni, motore diesel) percorrono in senso opposto un lungo viale cittadino che ha un semaforo ogni 200 metri. Il primo ha molta fretta ma trova l’“onda rossa" dei semafori: accelera al massimo (fino a raggiungere i 104 km/h), frena, si ferma ad ogni semaforo per circa un minuto e riparte a manetta per tutto il percorso. L’altro automobilista non ha nessuna fretta, ha l’onda verde e percorre l’intero tratto alla velocità costante di 10 km/h (velocità media in città nelle ore di punta). Ci mettono esattamente lo stesso tempo per percorrere l’intero percorso (18 minuti).
Facciamo una valutazione energetica: il primo automobilista avrà utilizzato 8 kWh di energia del carburante. Il secondo 0.9 kWh, quasi 10 volte meno (oltre a non essersi fatto del cattivo sangue)!
Ora ipotizziamo che le emissioni di polveri sottili seguano la stessa proporzione.
Avendo i motori più recenti ridotto moltissimo le emissioni di particolato, sono diventate proporzionalmente molto più importanti le emissioni di particolato dovute ai freni ed ai pneumatici la cui quantità dipende essenzialmente dallo stile di guida e dal peso del veicolo - come abbiamo visto - al punto che le polveri generate dall’automobilista sportivo, anche se dotato di un’auto Euro 6, saranno 15 volte superiori a quelle dell’automobilista tranquillo, anche se al volante di un’auto Euro 2. Se poi quest’ultimo, invece di guidare un SUV da 1,5 tonnellate (ipotesi di base per i calcoli che abbiamo fatto), guidasse un’auto più leggera, la differenza aumenterebbe ancora!
In sintesi: se una parte dell’investimento fatto negli anni per rinnovare il parco automobilistico fosse stato impiegato per promuovere una guida collettiva più fluida e regolare (ad esempio sostituendo i dossi con altre soluzioni per rallentare il traffico, come raccontiamo qui) e la commercializzazione di veicoli meno pesanti, molto probabilmente si sarebbero ottenuti risultati assai migliori in termini ambientali (ma forse non industriali).