È cosa nota che l’impatto ambientale della frutta e della verdura è variabile, e una delle variabili che impattano di più su di esso è la stagionalità. La ragione pare evidente: quando il prodotto è acquistato in stagione, la sua coltivazione e/o il suo trasporto al punto vendita comportano un minor e-costo, ovvero il prodotto ha una minore CED (Cumulated Energy Density), quindi un minore impatto ambientale.
La coltivazione fuori stagione richiede infatti investimenti energetici in serre e sistemi di coltivazione che permettono la crescita del prodotto anche in presenza di avverse condizioni metereologiche (o di radiazione solare): con la tecnologia si può fare tutto (o quasi), ma tutto ha sempre un costo energetico.
In alternativa il prodotto può essere trasportato da luoghi lontani, dove le condizioni sono più favorevoli, ma anche in questo caso l’impatto ambientale del prodotto aumenta, in ragione dell’e-costo del trasporto.
Più raro è che si abbia un’idea delle dimensioni di questo maggiore impatto, non solo perché veniamo informati sull’impatto ambientale della climatizzazione domestica o della mobilità ma molto meno (o per nulla) sull’impatto ambientale dei prodotti di consumo ma soprattutto perché non siamo abituati a ragionare sugli aspetti quantitativi sottostanti alle nostre scelte di comportamento e di consumo (è questa una delle principali ragioni che stanno alla base di ResConDA). Entriamo quindi negli aspetti quantitativi.
La realtà senza dubbio più significativa di coltivazioni in serra è in Europa quella nel sud-est della Spagna, ad Almeria, la più grande superficie coperta da serre nel mondo: 320 kmq. Le serre sono per lo più costituite da strutture metalliche coperte da fogli di polietilene. Questi ultimi rappresentano il maggior costo energetico connesso a questo tipo di coltivazione e rappresentano un costo ambientale enorme anche in termini di rifiuti: l’usura delle copertura genera infatti ogni anno 33.500 tonnellate di rifiuti di plastica.
Posto che il tema è complesso e che i fattori rilevanti al riguardo sono numerosi (metodi di coltivazione adottati, localizzazione, etc.), proviamo a dare qualche numero su un singolo prodotto: le fragole.
Secondo uno studio che ne ha analizzato la coltivazione in campo aperto nel nord Italia e quella in serra nel Cantone Ticino (Svizzera) la differenza in termini di emissioni di CO2e è del 880% (1868 g per la coltivazione in serra contro 212 g per quella in campo aperto in Italia), quasi nove volte meno! Secondo un altro studio, relativo alla coltivazione di fragole in Iran (in termini questa volta energetici, a noi più consueti), è di 3,9 kWh/kg in serra contro 1,8 kWh/kg in campo aperto (circa la metà). Altri studi (ad es. questo) dimostrano la grande variabilità dei dati disponibili al riguardo.
Oltre agli e-costi relativi alla coltivazione occorre tuttavia considerare quelli relativi al trasporto (omettiamo di prendere in considerazione il packaging, che stiamo già andando per le lunghe!). Il trasporto offre delle sorprese perché non è detto che un frutto che arrivi dall’estero abbia un e-costo superiore ad un altro coltivato in Italia: dipende dal mezzo di trasporto. Ne abbiamo già parlato in questo post a proposito delle banane: in quello specifico caso il trasporto via nave ha in generale un impatto energetico molto minore rispetto a quello su gomma. Purtroppo il trasporto delle fragole avviene esclusivamente su camion, in particolare refrigerato (perché le fragole si deteriorano rapidamente).
In Italia la maggior parte delle fragole vengono coltivate in Campania e Basilicata. Un camion diesel refrigerato che trasporta 2.000 kg di fragole alla temperatura di 0-2 C°da Aversa (NA) a Torino (845 km), consuma circa 250 litri di gasolio, con un e-costo medio di 1,3 kWh per kg di fragole trasportato (omettiamo l’e-costo de “l’ultimo miglio” che consideriamo uguale acquistando fragole prodotte localmente. Se invece le fragole arrivano da “el mar de plastico” di Almeria, che dista circa 1600 km da Torino, sono 2,6 kWh che occorre aggiungere per ogni kg di fragole.
In conclusione, adottando i valori energetici dello studio sopra menzionato abbiamo le seguenti ipotesi (kWh per kg di fragole):
| Produzione | Trasporto | Totale | |
|---|---|---|---|
| Produzione locale da coltivazione in campo aperto | 1,8 | 0 | 1,8 |
| Produzione locale da coltivazione in serra | 3,9 | 0 | 3,9 |
| Agro aversano da coltivazione in campo aperto | 1,8 | 1,3 | 3,1 |
| Agro aversano da coltivazione in serra | 3,9 | 1,3 | 5,2 |
| Almeria (Spagna) da coltivazione in serra | 3,9 | 2,6 | 6,5 |
In generale possiamo concludere che, tenendo conto delle molte approssimazioni fatte, comprare in stagione fragole coltivate localmente in campo aperto ha un e-costo quasi 4 volte inferiore rispetto ad acquistarle fuori stagione dalla Spagna e quasi due volte inferiore a quelle comprate in stagione ma provenienti dalla Campania.
Torneremo su altri prodotti ortofrutticoli in altre occasioni!