Energia “pulita” dal rifiuto sporco? I numeri di Torino e Brescia

GWh
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7 novembre 2025 652 parole

I termovalorizzatori rappresentano una delle tecnologie più discusse nel panorama energetico e ambientale contemporaneo. In Italia, impianti come quelli di Torino (IREN) e Brescia (A2A) mostrano come il rifiuto urbano residuo possa diventare una risorsa energetica, contribuendo alla produzione di elettricità e calore per il teleriscaldamento, riducendo al contempo il volume dei rifiuti destinati alle discariche.

Il termovalorizzatore di Torino tratta ogni anno circa 590.000 tonnellate di rifiuti non riciclabili, provenienti da Torino e provincia. L’impianto produce mediamente in un anno 358 GWh di energia elettrica e 133 GWh di energia termica, quest’ultima immessa nella rete di teleriscaldamento cittadina. In termini pratici, questi valori equivalgono al consumo elettrico di oltre 180.000 famiglie e al riscaldamento di circa 10.000 abitazioni.

A Brescia troviamo numeri simili, il termovalorizzatore opera su scala simile: gestisce ogni anno oltre 700.000 tonnellate di rifiuti e produce più di 500 GWh di elettricità e circa 164 GWh termici. Il calore generato alimenta una delle reti di teleriscaldamento più estese d’Europa, connessa a più di 20 milioni di metri cubi di edifici.

Il principio alla base è relativamente semplice: il rifiuto urbano residuo viene bruciato in camere di combustione controllate, a temperature superiori ai 900 °C. Il calore generato produce vapore ad alta pressione che alimenta turbine per la generazione elettrica e scambiatori di calore per la rete termica. Gli impianti moderni sono dotati di sofisticati sistemi di filtrazione — elettrofiltri, reattori catalitici, filtri a maniche — che riducono in modo significativo le emissioni di polveri e inquinanti. Il famoso canale di divulgazione GeoPop ha dedicato un breve video sull’impianto di Torino.

Dal punto di vista energetico, non tutti i rifiuti sono uguali, avendo un potere calorifico diverso (valori medi):

Tipo rifiutoPotere calorifico [kWh/kg]
Rifiuto solido urbano (RSU)2,7
Carta e legno4,9
Plastiche (polietilene, polipropilene)10,5
Frazione organica umida (spesso non idonea alla combustione diretta)0,8

Mediamente, ogni tonnellata di rifiuto urbano, a valle del processo di trasformazione, produce tra 800 e 950 kWh di energia utile (elettrica + termica), quindi 0,9 kWh/kg.
Il termovalorizzatore permette quindi di valorizzare solo una parte del contenuto energetico intrinseco dei rifiuti in elettricità e calore utile. Il resto si disperde sotto forma di calore residuo e perdite termodinamiche inevitabili.

Composizione e umidità del rifiuto influenzano fortemente la resa energetica. Nei periodi in cui aumenta la quota di plastica o materiale secco, la produzione elettrica sale; viceversa, una maggiore frazione organica riduce la potenza utile per tonnellata trattata. Per questo motivo, i termovalorizzatori funzionano al meglio come complemento di un sistema di raccolta differenziata efficiente, dove viene bruciato solo ciò che non è recuperabile in altro modo.

Questo rafforza il principio secondo cui la gerarchia dei rifiuti (riduzione, riuso, riciclo, recupero energetico, smaltimento) resta valida: il recupero energetico è un passaggio importante, ma non sostitutivo delle prime due fasi. Un’altro dato interessante è che, pro capite, un cittadino Italiano produce mediamente circa 500kg di rifiuti l’anno, con la relativa energia incorporata.

Dal punto di vista del bilancio ambientale, ogni MWh di energia elettrica prodotta da rifiuto evita l’utilizzo di combustibili fossili come gas naturale o carbone. Tuttavia, la sostenibilità del processo dipende dalla gestione dei fumi e delle ceneri, nonché dalle emissioni complessive di CO2, che restano significative (in parte biogeniche, in parte fossili).

Inoltre c’è un aspetto spesso trascurato: la localizzazione geografica. In aree poco ventilate e soggette a inversione termica, come la Pianura Padana, anche basse emissioni diffuse possono accumularsi nei bassi strati dell’atmosfera, incidendo sulla qualità dell’aria e sulla salute pubblica.

Infine la termovalorizzazione (così come il riciclo) rischiano di costituire un alibi per quanti non si preoccupano di ridurre i propri rifiuti (ed i consumi a monte degli stessi), soluzione migliore (se non l’unica) per ridurre realmente il proprio impatto ambientale.

Questo articolo si concentra sugli aspetti energetici, ma il dibattito sugli effetti sanitari e ambientali di questi impianti resta aperto e meriterebbe ulteriori approfondimenti scientifici e politici.